TACHICARDIA PAROSSISTICA SOPRAVENTRICOLARE
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È una malattia caratterizzata da tachiaritmie (ovvero aritmie in cui il cuore va più velocemente del normale). Gli attacchi tachicardici presentano diversa durata e possono accompagnarsi ad ansia, sudorazione, ipotensione, sensazione di cardiopalmo. Questi attacchi insorgono e cessano improvvisamente e durante l’attacco il cuore battete velocemente e regolarmente… Talvolta si interrompono spontaneamente, talvolta dopo specifiche manovre (come la manovra di valsalva, una espirazione forzata a glottide chiusa), altre volte con l’uso di farmaci. La terapia prevede l’uso di farmaci antiaritmici oppure dell’intervento di ablazione transcatetere (un intervento percutaneo che permette la risoluzione definitiva del problema nel 99% dei casi).
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Sono legate alla presenza di strutture elettriche (fili) anomali all’interno del cuore che possono formare impulsi elettrici anomali o trasportare impulsi elettrici in maniera anomala. Di solito si tratta di zone con diverse velocità di conduzione che fanno “girare” l’impulso elettrico determinandone un cortocircuito e l’anomala contrazione del cuore. La frequenza cardiaca può variare tra 150 e 250 battiti al minuto. Le forme più comuni di tachicardia sopraventricolare (TPSV) sono:
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la Tachicardia parossistica sopraventricolare da rientro nodale (TRNAV), in questa patologia benigna una normale struttura del sistema elettrico del cuore chiamata nodo atrio-ventricolare presenta una variante, chiamata doppia fisiologia nodale (una doppia partizione con due fili invece di uno e diverse caretteristiche elettriche) che possono in determinate situazioni generare un cortocircuito (la tachicardia);
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la Tachicardia parossistica da rientro atrio-ventricolare mediante via accessoria (TRAV-WPW, sindrome di Wolf-Parkinson-White), legata alla presenza di un fascio accessorio (filo elettrico in più) che conduce l’impulso cardiaco attraverso delle zone anomale del cuore. Questa via accessoria rappresenta per l’impulso cardiaco una strada in più, che di solito non è presente nel cuore e può essere un substrato, cioè la “predisposizione” del cuore a sviluppare aritmie in determinate situazioni. Infatti l’impulso gira in maniera anomala tra la via accessoria e la via che in condizioni normali conduce il segnale. Esistono vie accessorie di vario tipo, ovvero localizzate in diversi punti ma soprattutto con diversa velocità di conduzione dell’impulso. Questo comporta che esistono vie accessorie “buone” (che non determinano aritmie o che le determinano ma non pericolose) e “cattive” (che determinano aritmie veloci o pericolose per la vita). Non tutte le vie accessorie vanno curate.
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L’elettrofisiologo, in relazione ad alcuni parametri, quasi sempre clinici, talora invece per idoneità lavorative od agonistiche, sceglie la terapia più appropriata, medica od ablazione o nulla. Se l’aritmia da via anomala deve essere curata quasi sempre è indicata l’ablazione; in casi particolari la terapia può essere farmacologica. La presenza del fascio di Kent può essere diagnosticata nella maggioranza dei pazienti anche in assenza di sintomi con l’esecuzione di un ECG, altre volte (via accessorie occulte) richiede l’esecuzione di uno studio elettrofisiologico intracavitario o l’analisi di un tracciato elettrocardiogramma (ECG) durante la aritmia, altre volte un holter cardiaco poichè la via accessoria si manifesta sull’ECG in maniera intermittente durante la giornata.
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